XXVII settimana del Tempo Ordinario.
Festa di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia.
di fra Régis Temanda.
Buongiorno, cari amici, con il caffè carmelitano di oggi, 4 ottobre 2022.
Dal Vangelo secondo Matteo (11, 25-30).
In quel tempo Gesù disse:«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
La vita di san Francesco d’Assisi si può considerare una “glossa”, cioè un commento al vangelo odierno. Sono tanti gli episodi che possono illustrarlo, ma ci soffermiamo soltanto su uno tra i più noti.
Un giorno Francesco cavalcava tra i campi fuori dalle mura di Assisi, meditando su come abbandonare i piaceri mondani. All’improvviso si fece sentire un suono di campanello. Un essere sfigurato, con le carni piagate, calcificate, che emettevano un fetore insopportabile, un lebbroso, gli venne incontro. Il primo istinto fu quello di fuggire, ma Francesco lo vinse. Discese da cavallo, si avvicinò al lebbroso e lo baciò. Risalito, poi, a cavallo, si voltò per salutare il malato, ma questi era sparito. Quel lebbroso, in realtà, era Gesù sceso in terra per ricevere il bacio dal suo servo.
Ecco un esempio di rivelazione fatta ai piccoli. Francesco, finché se ne stava seduto tranquillo sul cavallo, non poteva annoverarsi tra i piccoli, gli unici pronti a ricevere la rivelazione divina. Solo scendendo, vincendo la ripugnanza naturale propria dei sapienti e dei dotti secondo il mondo, egli poté sperimentare la vicinanza del Signore.
È nella quotidianità che Dio ci viene incontro. Ma per accoglierlo bisogna, come san Francesco, discendere da cavallo, cioè vincere gli istinti naturali, i pregiudizi sociali e le paure che ci impediscono di avvicinare lo straniero, il povero, l’infermo, in una parola, tutti questi piccoli che il Signore dice essere suoi fratelli (Mt 25). Quel bacio non è forse un’imitazione della mitezza di Gesù, e lo scendere dal cavallo un’espressione della sua umiltà?
Il santo stesso scriverà più tardi riferendosi a questo fatto: «Il Signore concesse a me, Frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo». Non è forse questo, prendere sopra di sé il giogo del Signore? Non è forse una testimonianza di come la carità, nonostante un’apparente amarezza iniziale dovuta ai peccati, rimane sempre un giogo dolce e un peso leggero, causa di una dolcezza che ristora l’anima e il corpo?
Preghiamo.
O Padre, che hai concesso a san Francesco d’Assisi
di essere immagine viva di Cristo povero e umile,
fa’ che camminando sulle sue orme,
possiamo seguire il tuo Figlio e unirci a te in carità e letizia.
Per Cristo, nostro Signore. Amen.
Buona giornata a tutti.
fra Régis Temanda
Comunità di Genova

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