di padre Roberto Fornara
– Comunità di Arenzano (GE) –
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Buongiorno, cari amici, con il caffè carmelitano di oggi, 4 maggio 2023.
IV settimana del Tempo di Pasqua.
Beati martiri carmelitani di Spagna.
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 13, 16-20)
[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro:
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.
Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono.
In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
Il brano che meditiamo oggi segue immediatamente il gesto simbolico ed eloquente della lavanda dei piedi, che abbiamo rivissuto poche settimane fa nella liturgia del giovedì santo. È strettamente collegato anche con le parole pronunciate da Gesù in quel contesto: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri”. È prima di tutto un invito alla consapevolezza e ad una presa di coscienza: Gesù sa che è giunta la sua ora ed è pienamente consapevole di quello che sta per fare; il discepolo, da parte sua, sapendo queste cose, sarà beato se le mette in pratica.
Con la solennità che abbiamo imparato a riconoscere nell’introduzione “In verità, in verità io vi dico…”, oggi il vangelo conferma solennemente lo statuto del discepolo: “un servo non è più grande del suo padrone”. Ci vengono alla mente le parole di Gesù in un altro contesto (Lc 17): “quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Restiamo con umiltà e verità nella condizione di servi, di discepoli, di uomini, anche se commensali nel banchetto del regno di Dio.
Nel clima conviviale di commensalità e comunione, spicca per contrasto la dimensione tenebrosa del tradimento. Per meglio dire, Giovanni fa emergere la fragilità dei discepoli: il tradimento di Giuda, l’incomprensione di Pietro… Quello che ci colpisce è che Gesù non solo ha scelto discepoli fragili e peccatori, ma li ha anche inviati nel suo nome. Perciò gli uomini non si devono fermare o scandalizzare di fronte alla fragilità degli inviati: “chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato”. Allora, in questa accoglienza d’amore, sapranno che “Io sono”, cioè conosceranno il vero nome di Dio, l’essenza del dono di Gesù, che, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine (cfr. Gv 13,1). “Io sono” significa anche che la forza dell’amore è più potente del peccato del discepolo.
Citando il salmo 41 (colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno) Gesù ci fa riflettere sulla contraddizione del tradimento di un discepolo, di un amico, di un compagno (cum-panis), ma ci richiama alla memoria anche il patriarca Giacobbe, che fin dalla nascita è artefice d’inganni: uscendo per ultimo dal grembo materno, egli teneva in mano il calcagno di Esaù, che gli vendette per un piatto di lenticchie la sua primogenitura. La storia si ripete, i peccati degli uomini – anche i più vicini a Gesù – si ripetono. La vera novità è l’amore che si dona: nella notte in cui veniva tradito, Gesù prese il pane, lo spezzò e disse: Fate questo in memoria di me…
Preghiamo.
O Dio, che innalzi la natura umana
al di sopra della dignità delle origini,
guarda all’ineffabile mistero del tuo amore,
perché in coloro che hai rinnovato nel sacramento del Battesimo
siano custoditi i doni della tua grazia e della tua benedizione.
Per Cristo, nostro Signore. Amen.
A tutti voi l’augurio di una buona e santa giornata!
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